Piani di Gestione della Crisi alla Prova del Coronavirus

Cosa ci sta insegnando la prima vera pandemia globale in tema di resilienza e continuità operativa?

Cosa sta funzionando e cosa sta fallendo nei piani di gestione delle emergenze adottati dalle imprese?

Cosa non è stato adeguatamente considerato?

Come va aggiustato il tiro per aumentare la resilienza aziendale in periodo di COVID-19?

Il nostro osservatorio ci dice che nessuno era davvero preparato a gestire uno scenario così imprevedibile come quello imposto dal COVID-19. Anche le aziende più lungimiranti, che si sono mosse tempo fa sui temi di Business Continuity e Disaster Recovery, hanno spesso costruito i propri Piani seguendo le indicazioni delle normative di settore (come la Direttiva NIS per gli Operatori di Servizi Essenziali o la BRRD1 e la Circolare 285/2013 per le banche) ovvero la letteratura e le best practice di riferimento.

Ne sono scaturiti Piani predisposti per gestire scenari di discontinuità noti, ossia basati su osservazione di casi reali e su situazioni prevedibili. Mai si sarebbe potuto immaginare uno scenario di complessità, estensione e gravità simile a quello che stiamo affrontando in queste settimane.

A questo Insights, che introduce le nostre prime riflessioni sulla tenuta dei Piani di Gestione della Crisi in tempi di Coronavirus, ne seguiranno altri dedicati ad approfondire alcuni degli aspetti rilevanti ai fini della continuità operativa e di business delle imprese.

1 Bank recovery and resolution - Directive 2014/59/EU

Che cosa, dei Piani di gestione delle emergenze predisposti “in tempi di pace”, non ha retto “in tempi di Coronavirus”?

Sono diversi gli aspetti che non hanno pienamente funzionato di fronte a questa crisi. Di seguito, ne commentiamo alcuni di natura più organizzativa, così come osservati sul campo.

Governance delle unità di crisi.

La governance della crisi si è spesso rivelata l’anello debole della catena. La presenza di unità di crisi di tipo “tecnico”, normate da procedure rigorose di funzionamento e composizione, è apparsa fin da subito inadeguata a gestire un’emergenza così complessa, veloce, interconnessa e capace di impattare tutti gli aspetti della vita aziendale.

Ci si è spesso trovati di fronte a unità specialistiche: (a) pensate per gestire crisi anche significative, ma circoscritte e limitate nella durata e nei processi impattati; (b) che hanno privilegiato la comunicazione esterna verso Autorità e Stakeholder anziché la gestione di aspetti strategici, organizzativi, gestionali e anche psicologici; (c) i cui ruoli, responsabilità e deleghe non hanno consentito di affrontare il nodo critico della catena decisionale e di comando nel periodo di crisi. Al contrario, per essere efficacemente affrontato, uno scenario pandemico richiede una governance snella e immediata, basata su leve decisionali e operative concentrate, su flussi informativi essenziali e tempestivi, su poche regole chiare e di immediata interpretazione.

Competenze e capacità manageriali.

In alcuni casi, ha fallito anche la valutazione delle capacità manageriali dei soggetti coinvolti nella gestione della crisi: non esistono Manager per tutte le stagioni. In situazioni di emergenza estrema come quella in corso, va privilegiata l’attitudine caratteriale alla reazione, alla propensione a lavorare sotto stress con poche informazioni a disposizione, alle capacità organizzative e di valutazione delle priorità rispetto alle classiche valutazioni tecniche.

Coordinamento nei Gruppi. 

Nelle realtà multinazionali, il coordinamento globale della crisi ha mostrato criticità simili a quelle osservate a livello governativo: reazioni tardive e non coordinate. Questo problema si è registrato soprattutto nei gruppi con headquarter basati in Paesi impattati solo in un secondo momento dall’emergenza Coronavirus: in questi casi, la scarsa consapevolezza del problema reale a livello Corporate ha riversato l’onere decisionale e gestionale sul Management locale, non sempre preparato e attrezzato per far fronte a un simile tzunami.

Perché le misure di emergenza pensate prima della pandemia si sono rivelate inadeguate?

A nostro avviso, il principale motivo è da imputare all’impostazione metodologica seguita in tempi “normali” nella costruzione dei Piani di Gestione della Crisi.

Secondo quanto suggerito dalla letteratura e dalle best practice in materia di gestione delle emergenze, la maggior parte dei Piani tende a considerare scenari prevedibili solitamente connessi a indisponibilità di processi, sedi, fornitori e sistemi ICT critici per la continuità operativa. Lo scenario estremo della pandemia non è mai stato approfondito come situazione emergenziale a sé stante, in tutte le sue sfaccettature, interconnessioni e complessità; al massimo, è stato ricondotto ai più tradizionali scenari di “indisponibilità del personale essenziale” (in caso di persone colpite direttamente dalla pandemia) e “indisponibilità delle sedi” (in caso di impossibilità dei lavoratori di raggiungere i luoghi di lavoro). La conseguenza è che gli effetti e le strategie di risposta sono stati analizzati e definiti solo su base locale, ossia considerando limitate aree geografiche - ancorché estese - anziché su base globale.

In sostanza, come ha chiarito anche l’OMS in questi giorni, i Piani ad oggi predisposti dalle aziende sono al massimo in grado di fronteggiare situazioni di epidemia localizzate nello spazio e limitate nel tempo (traguardando al massimo qualche settimana), non certo scenari di pandemia così estesa come quello in corso.

Quali fattori esterni hanno contribuito a rendere inefficaci i Piani di Gestione della Crisi messi a punto prima del Coronavirus?

A distanza di qualche settimana dall’inizio dell’emergenza, osserviamo alcune dinamiche esterne che erano senz’altro difficili da prevedere, ma che hanno messo a dura prova le capacità di risposta da parte delle aziende.

Globalità del fenomeno.

Il Coronavirus è il primo caso di pandemia davvero globale in tempi moderni: nessuna geografia è rimasta immune al contagio. Le forti interconnessioni fra mercati e filiere hanno fatto il resto: si va da settori di business che hanno registrato fin da subito un calo drastico del volume d’affari (come il trasporto aereo, il turismo, lo sport, l’organizzazione di eventi, i negozi al dettaglio, le infrastrutture), a quelli che hanno dovuto far fronte a picchi enormi di domanda con conseguenti difficoltà operative nella produzione, approvvigionamento e distribuzione (come la produzione di strumentazione sanitaria, la grande distribuzione, le aziende telefoniche e i provider di servizi di connettività), a quelli, infine, che vedranno gli effetti della crisi poco più in là nel tempo.

Reazioni da parte di Governi e Autorità locali, nazionali e sovranazionali.

Ogni ente sovrano ha reagito con modalità e tempi differenti e non coordinati, producendo effetti difficilmente prevedibili e controllabili, in particolare sullo spostamento di merci e persone a livello locale, nazionale e internazionale. L’incertezza legislativa che ne è scaturita ha reso (e sta tuttora rendendo) difficile l’identificazione di azioni di risanamento cross-country, creando tensioni, in particolare, nelle società e nei gruppi internazionali.

Carenza di dispositivi per la salute e sicurezza delle persone.

La difficoltà di reperimento di mascherine, guanti monouso e altri dispositivi idonei a contenere la diffusione del virus ha alimentato il rischio di discontinuità operativa, in particolare per quelle attività che non possono essere svolte in remote working o che non possono garantire gli standard di sicurezza imposti in periodo di Coronavirus (come il “droplet”).

Reazioni delle persone sul lavoro e nella vita privata.

Si sta diffondendo ovunque un senso di paura, panico e ansia nella popolazione, che alimenta situazioni di over-reaction. Molti lavoratori, ad esempio, non si sentono più tutelati sul posto di lavoro e chiedono a gran voce l’interruzione delle attività lavorative non essenziali. Allo stesso modo, si modificano le abitudini di vita quotidiana, si riducono significativamente gli spostamenti, cambiano i volumi e la tipologia di consumi (e.g. si riducono i consumi di carburante, mezzi pubblici, pasti nei bar e ristoranti, etc. a favore di altri consumi, come le utility a livello privato e le consegne a domicilio). Il tutto con inevitabile impatto sui PIL nazionali e sull’economia globale.

Disponibilità del personale essenziale.

Anche il personale considerato “essenziale” da un punto di vista di continuità aziendale è rappresentato da uomini e donne che, prima di essere lavoratori, sono genitori o figli con familiari da accudire, nonché cittadini con bisogni essenziali da soddisfare, che possono diventare prioritari rispetto alle esigenze lavorative. Questo aspetto ha senz’altro influenzato la fattibilità di alcune opzioni di intervento previste nei Piani di Gestione della Crisi.

Incertezze sulla durata della pandemia e dei relativi effetti.

Da ultimo, nessuno sa con esattezza quanto durerà questa situazione, quanti e quali risorse sarà necessario mettere in campo per affrontare l’emergenza e tornare alla normalità. Quest’incertezza rende ancora più difficile sia l’identificazione ex-ante di opzioni di gestione degli scenari di crisi, sia la valutazione della loro efficacia e realizzabilità.

Come rispondere, dunque, alla nuova emergenza da Coronavirus? Quali sono, secondo Protiviti, i fattori critici di successo di un Piano di Gestione della Crisi in tempi di pandemia?

1. ASSICURATEVI DI AVERE UNA MAPPATURA IL PIU’ COMPLETA E AGGIORNATA POSSIBILE DEI RISCHI DA PANDEMIA,

che includa sia quelli con impatti diretti sul business (come evoluzioni del framework normativo, blocchi di produzione, ritardi o extra-costi connessi alla logistica, rallentamenti nel ricevimento degli ordini da clienti, etc.), sia quelli con impatti indiretti derivanti da interventi organizzativi o altre misure adottate per contenere la diffusione del virus (come ritardi nella produzione di dati e informazioni critiche per la presa di decisioni dovute ad un sovraccarico di lavoro delle funzioni preposte, peggioramento del clima aziendale, peggioramento dei livelli di performance di alcune unità organizzative sotto stress a causa della crisi). Coinvolgete nell’analisi tutti i business, tutte le aree geografiche e tutti i processi. Non concentratevi solo sulla catena di fornitura, sulle sedi produttive o sui sistemi informativi, come avviene nei tradizionali Piani di Business Continuity e Disaster Recovery, ma considerate tutti gli aspetti della vita aziendale, da quelli strategici a quelli commerciali, da quelli finanziari a quelli legali e contrattuali, da quelli HR a quelli connessi alle relazioni con tutti i portatori di interesse in azienda, etc. Più che mai serve un approccio integrato e multidisciplinare per affrontare questa sfida.

2. PRENDETE ATTO CHE SAPER REAGIRE IN QUESTE SITUAZIONI È PIÙ IMPORTANTE CHE SAPER PREVEDERE.

Non perdete troppo tempo ad elaborare modelli previsionali più o meno sofisticati, che potrebbero essere smentiti già dopo poche ore dalla loro elaborazione. Quando gli scenari sono così veloci, interconnessi, incerti nella durata e nell’estensione, e fortemente dipendenti da variabili mai osservate prima, raccomandiamo di dirottare le risorse e gli sforzi verso lo sviluppo di strumenti idonei a intercettare tempestivamente situazioni di rischio per la continuità del business. L’importante, infatti, è implementare un set di indicatori che permettano di tenere sotto controllo gli ambiti più critici per la continuità aziendale (come il tasso di assenteismo del personale essenziale, la disponibilità di strumenti di remote working, la disponibilità di dispositivi di protezione personale, i livelli di stock di materie prime, imballaggi, prodotti finiti, i tempi di spedizione per inbound e outbound, il livello di liquidità, i contratti da rinegoziare, etc.), allo scopo di attivare rapidamente le necessarie escalation decisionali in relazione ai livelli di rischio rilevati.

3. PREPARATEVI A RISPONDERE AI RISCHI DI CONTAGIO ATTRAVERSO AZIONI TEMPESTIVE CHE, NELL’ORDINE, DOVRANNO INCLUDERE:

(i) azioni di pronto intervento, per risolvere gli effetti derivanti da un contagio, anche presunto; (ii) azioni di mitigazione, per contenere la diffusione del virus; infine, sulla base di quanto osservato e imparato, (iii) azioni di prevenzione, finalizzate a evitare situazioni di contagio e da modulare di volta in volta in relazione alle specifiche situazioni di rischio riscontrate. I piani di intervento devono essere dettagliati, di facile interpretazione e con chiare responsabilità preassegnate. Preparatevi altresì a decidere in condizioni di scarsità di informazioni, ma sempre nel rispetto dei vincoli legislativi che potrebbero condizionare le opzioni di intervento. Per gli aspetti connessi alla Supply Chain e alla Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro, forniremo ulteriori spunti di riflessioni in Insights dedicati.

4. VALUTATE DI RIMETTERE IN DISCUSSIONE LA GOVERNANCE PER LA GESTIONE SPECIFICA DI QUESTA EMERGENZA,

monitorando nel continuo il livello di efficacia della struttura e valutando i necessari aggiustamenti. Privilegiate la presenza di Team di crisi snelli, in grado di coprire adeguatamente i vari livelli geografici e le linee di business, che siano dotati di strumenti adatti per intercettare rapidamente situazioni di rischio e che abbiano le leve per intervenire con la rapidità che la situazione richiede. Privilegiate l’attitudine alla reazione e alla capacità di gestione immediata sotto stress, rispetto alle competenze tecniche. Date delle linee guida e di indirizzo snelle ma efficaci, evitate procedure troppo complesse che rallentino l’agilità di azione, in questo momento più necessaria che mai.

5. IN PERIODI DI SOVRACCARICO DA REMOTE WORKING, NON ABBASSATE LA GUARDIA SULLA SICUREZZA DEI DATI.

La priorità è certamente quella di mettere quanti più collaboratori possibili in condizioni di lavorare. Ma il bisogno di adottare in tempi brevissimi modalità di lavoro da remoto non deve portare a derogare le regole di sicurezza informatica: il rischio di subire attacchi cyber e di perdere dati confidenziali è sempre alle porte e, anzi, aumenta in periodi di confusione e instabilità e di maggior ricorso alla tecnologia. Basti pensare al notevole incremento di segnalazioni, avvenuto nelle ultime settimane, di siti internet e campagne mail che, millantando notizie e informazioni relative al Coronavirus, in realtà diffondono codici malevoli. Mantenete, dunque, alto il presidio di sicurezza e rafforzate l’attività di monitoraggio e detection di comportamenti non ammessi.

6. BILANCIATE LE ESIGENZE OPERATIVE CON I VINCOLI DI COMPLIANCE.

In periodo di pandemia, le aziende potrebbero aver bisogno di acquisire e trattare dati personali sensibili necessari sia per valutare l’efficacia di misure di contenimento del contagio nei luoghi di lavoro, sia per monitorare produttività e sicurezza di chi pratica remote working. Come noto, le normative in materia di Data Privacy pongono una serie di vincoli al trattamento dei dati personali, pensati dai legislatori per regolamentare situazioni valide in “tempo di pace”. In uno scenario di pandemia, dove la priorità è quella di preservare la salute collettiva e - quando possibile - il lavoro, queste normative possono apparire parzialmente inappropriate. In attesa che anche i regolatori chiariscano gli aspetti contraddittori della Privacy in tempi di Coronavirus, le aziende dovranno trovare il giusto trade-off fra esigenza di tutelare i propri collaboratori e il proprio business ed esposizione ai rischi di non conformità alla normativa citata.

7. RICORDATE CHE, ANCHE IN PERIODO DI EMERGENZA, LE FUNZIONI DI CONTROLLO INTERNO E DI GESTIONE DEL RISCHIO

possono dare un contributo significativo nel rafforzare la catena di controllo della crisi. In quest’ottica, l’Internal Audit può, ad esempio, mettersi a servizio dell’organizzazione, convertendo le attività programmate con verifiche specifiche sulla tempestività della catena decisionale e sull’efficacia delle azioni di risposta definite, dando un riscontro sull’adeguatezza dei sistemi di gestione della crisi e fornendo al Management utili spunti per eventuali riorientamenti.

8. INFINE, TENETE VIVA L’ORGANIZZAZIONE E MANTENETE UN CLIMA AZIENDALE POSITIVO.

Le aziende sono fatte di persone, e le persone devono continuare a sentirsi parte dell’organizzazione, anche quando costrette a casa. Le comunicazioni sono fondamentali in periodo di crisi; devono trasmettere empatia ai dipendenti, devono informare su ciò che accade in azienda, devono essere lungimiranti, dando a tutti un’idea di cosa aspettarsi. Offrire qualcosa di diverso su cui concentrarsi rispetto alla costante negatività del virus, può essere prezioso in questi tempi difficili e può contribuire a mantenere alto il morale di dipendenti e collaboratori. Data la rilevanza degli impatti della crisi su persone e lavoro, condivideremo nostre ulteriori riflessioni in un Insight dedicato.

Per concludere.

La crisi causata dal COVID-19 si presenta come il primo vero test globale di resilienza del sistema delle imprese. Il “triage” necessario per rilevare i rischi, definire le priorità e distribuire i compiti sarà un’arte necessaria per la maggior parte delle organizzazioni nelle prossime settimane.

Il nostro auspicio è che questa dura esperienza aiuti il sistema complessivo a rafforzare la propria capacità di sopravvivenza e a pensare a modi nuovi di fare business.

La buona notizia è che ce la faremo.

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